sabato 1 dicembre 2012

Ecco perché gli italiani chiudono e i cinesi aprono

Premessa
Quanto scritto in questo articolo non vuole in alcun modo fare di tutta l'erba un fascio. Ci sono le devute eccezioni, così come le pessime conferme. Il marcio sta ovunque, perciò un colpo al cerchio e uno alla botte...


Da ormai qualche anno abbiamo tutti tristemente notato che sempre di più le vetrine dei negozi italiani chiudono inesorabilmente i battenti sotto la stretta morsa della crisi, dei debiti, della banche magna-imprenditori e di tutto quello che sappiamo ormai fin troppo bene. Mentre i negozi e i locali gestiti dai cinesi sembrano fiorire in una primavera di prosperità.

Il "made in italy" è diventato una specie di status symbol sfigato e costoso, ma costoso nel senso sbagliato del termine. Oggi non indica più grandi qualità come l'eccellenza e la genuinità del prodotto (perché diciamocelo, sono andate da tempo a farsi benedire), bensì il peso economico in un mercato che ormai non può più permettersi di pagare maestranze italiane a caro prezzo.
Per questo abbiamo la delocalizzazione che, in barba al rispetto del lavoratore italiano e dell'amor proprio aziendale, favorisce lo sfruttamento di lavoratori esteri. Omsa in primis ne è il tristissimo esempio. Lavoratrici serbe pagate la metà della metà di quelle italiane, con zero garanzie contrattuali e zero di tutto il resto. Mentre le lavoratrici italiane, quelle che per 30 anni si sono fatte il mazzo, adesso sono disoccupate e senza alcuna prospettiva per il futuro.

E così, arriva pure il prodotto cinese... Ah no! Quello c'era già da tipo 50 anni. Arriva proprio IL cinese, l'imprenditore orientale. Bada bene: non più il vendi-spaghetti-di-liso e pollo flitto. Nonò.
Ad agosto mi è capitato di andare in uno di quei mercatini rionali settimanali e quello che ho sentito è a dir poco agghiacciante:

Venditore: ...signora mia siamo in crisi davvero.
Signora: eh già, non me ne parli...
Venditore: e poi tutti 'sti cinesi... ci rubano il lavoro!
Signora: ah! io dai cinesi non ci vado mai, i miei soldi non glieli do!

E via degenerando. Peccato che il suddetto venditore aveva una bancarella di oggettini per la casa, minuteria, giocattoli di infima qualità e cianfrusaglie varie, indovinate un po'? Made in China. E non si vergognava nemmeno un pochino nella sua tronfiataggine mentre sproloquiava sui quei brutti musi gialli... eh già. Finché la porcheria cinese da 4 soldi la vende lui a prezzi esagerati va bene; ma se lo fa il cinese a prezzi contenuti, no! quello è uno schifo. Quello, signori miei, è rubare il lavoro degli onesti italiani.

Ma torniamo all'imprenditore cinese, quello "vero" (perché ce ne sono due tipi che poi vedremo).
Ora vi spiego come mai i cinesi aprono negozi in Italia al posto degli italiani.

Il cinese sveglio, quello che scappa da un paese capital-comunista che nel 2012 ancora butta in strada le neonate femmina, ha capito che stare in un posto col freno a mano non è vantaggioso. Ha capito che vivere in città che da lontano sfavillano e che da vicino sono luride e malsane, non fa per lui. Ha capito che ci sono paesi in cui le leggi fatte tanto per fare sono come l'America, ma meglio! perché non deve andare a sgobbare in fabbrica come i suoi predecessori (anche se ignora che ci sono prezzi molto più alti da pagare).
Quando arriva nel Belpaese viene accolto e aiutato da altri cinesi che lo ospitano, gli trovano alloggi e gli danno persino i soldi per iniziare la loro attività. Una vera pacchia! Bè... ovviamente tutto ha un prezzo. E' un po' come il contratto della Sirenetta con la Strega del Mare.

Come funziona?
La cosa è un po' più complessa di come ve la spiegherò, ma credetemi sulla parola che alla fine i passi salienti sono solo tre. Chiameremo cinese1 quello che da i soldi (l'imprenditore "vero") e cinese2 quello che vuole aprire l'attività (l'imprenditore da spremere). Bene. Poniamo il caso che il cinese2 abbia bisogno di 100.000 euro per iniziare l'attività (comprare il capannone o il negozio, fare tutta la costosa trafila delle scartoffie all'italiana, comprare la merce, oliare qua e là, ecc...). Il cinese1 gli da i 100.000 euro sull'unghia con un contratto che funziona così:
- il cinese2 dovrà restituire l'intera somma tutta insieme;
- nel frattempo dovrà pagare un fisso mensile al cinese1 finché l'intera somma non sarà disponibile;
- i soldi mesili NON verranno scalati dalla somma da restituire.

Punto. Non c'è altro da aggiungere, se non "questo è peggio dello strozzinaggio". In altre parole il cinese2 deve lavorare per ripagare il debito e mentre mette via i soldi nel gruzzolo finale, deve anche guadagnare abbastanza per pagare il fisso mensile, pagare il posto dove vive con relative bollette, stipendiare chi lavora (generalmente la famiglia) e mangiare. A conti fatti deve guadagnare proprio bene... e il fatto sconcertante è che funziona. Ci sono valanghe di esempi viventi di negozi che vanno alla grande da anni. E vanno bene perché alla fine molti italiani comprano lì. Anche perché, a proposito di qualità del prodotto, se vogliamo dirla tutta non c'è poi tutta questa gran differenza tra il prodotto cinese e quello italiano, visto che molti marchi italiani già da anni hanno spostato la propria produzione in stati più economici. Non posso fare nomi, ma la maglia di un certo stilista italiano che al pubblico costa ben 250 euro (e parliamo di una semplice t-shirt nera con sopra una piccola stampa) viene prodotta in Cina - o in Indonesia non ricordo - e dopo un paio di lavaggi potete anche buttarla fra gli stracci tanto si logora e perde le cuciture.

Però che schifo! Maledetti cinesi! Sfruttano i propri connazionali! Vergogna.
Eh già. Ma intanto loro si immettono nel commercio mentre noi ne usciamo a mani vuote. Loro acquistano i locali commerciali che gli italiani non riescono più a gestire. Certo... non ci sono acquirenti italiani perché i prezzi sono alti e noi non abbiamo nessuno che ci presta i soldi, non legamente almeno. L'italiano medio non vuole problemi e cerca sempre la via più legale possibile (checché se ne dica). Ed è proprio per questo che perisce. Avete mai provato a chiedere soldi alle banche? O ai fondi europei? Buona fortuna gente! (Poi, per carità gli italiani furbi e disonesti ci sono e come! ma o io vivo nel Paese delle Meraviglie ed ho solo amici e parenti che si fanno il mazzo in maniera onestissima e al massimo sono costretti a trasferirsi all'estero, oppure la realtà è un po' diversa da quella che i media tendono a spacciarci in casa nostra).
Con questo NON sto dicendo che quel sistema è valido o che andrebbe attuato anche qui... ci mancherebbe altro. Sto semplicemente dicendo che il tipico permissivismo italiano fa sì che queste cose avvengano sotto il nostro naso; e mentre noi vendiamo locali e capannoni perché non arriviamo a fine mese, loro hanno i soldi per comprarseli. E quei pochi italiani che invece si impuntano e vogliono farcela vengono acquisiti in blocco dalla Svizzera (per chi non lo sapesse in Svizzera c'è un organo apposito per favorire l'ingresso degli imprenditori italiani che hanno buone idee, prodotti vincenti e così via).

Perciò ok, è vero, i cinesi sfruttano i propri connaz...
Un momento. Ma noi non sfruttiamo i nostri connazionali quando cerchiamo di assumerli con contratti di stage gratuiti per fare lavori qualificati? O con contratti co.co.pro. che si rinnovano di 6 mesi in 6 mesi fino-a-8-anni-e-poi-tanti-saluti per fare lavori che non sono affatto progetti e che necessitano la presenza fisica del collaboratore sul posto di lavoro (al contrario di quanto previsto dal vero co.co.pro.)?
E non è sfruttamento affittare un monolocale a 5 universitari diversi chiedendo ad ognuno la cifra intera, senza contratto d'affitto? O rifiutarsi di mettere un sistema di pagamento bancomat nella propria pizzeria così da non essere costretti a fare lo scontrino tutte le volte? O ancora vendere un chilo di pomodori a 12 euro (ve lo giuro) perché cresciuti in una zona superfavolosa e chissà - penso io - innaffiati con acqua santa...?
Perciò un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Siamo sempre così pronti ad accusare gli altri, ma anche in casa nostra non scherziamo mica.
Probabilmente se avessimo iter burocratici più semplici, banche davvero umane e una pressione fiscale corretta, potremmo farcela... a non chiudere. Ma il comportamento scorretto sul lavoro è abbastanza radicato nel nostro dna e quello dubito che cambierebbe.

Quando vedo manifesti e foto come queste a lato mi viene proprio da ridere. C'è un sottile razzismo di fondo in tutto questo: vogliamo bella roba ma non vogliamo pagarla troppo (senza tenere conto però che spesso i prezzi sono bassi a causa dello sfruttamento di manodopera orientale anche infantile). La vogliamo italiana ma non vogliamo sapere da dove viene realmente. Vogliamo che il quartiere di via Paolo Sarpi a Milano torni in mani italiane, ma nessuno ha pensato quando si era in tempo ad agevolare la piccola imprenditoria italiana (e se è per questo non viene fatto nemmeno adesso). Non vogliamo il made in china ma poi acquistiamo palloni da calcio e scarpe di marche note - e a che prezzi - come se venissero da Favolandia e non dalle mani dei cinesi... Facciamo terrorismo sugli sciagurati prodotti cinesi che minano la nostra salute (per poi puntualmente scoprire essere bufale) ma non smettiamo di acquistare la vera bufala e cioè quella campana prodotta accanto ai termovalorizzatori o la frutta cresciuta a 300 mt dall'Ilva, o ancora il noto vino in brick le cui uve crescono ai lati della A1!
Se questo è il made in Italy, ne faccio volentieri a meno.

Forse non sappiamo quello che vogliamo. Ed è per questo che falliamo miseramente e lasciamo che nel nostro paese avvengano questi scambi invisibili ma concretissimi che piano piano cambiano il profilo della "nostra" Italia. In mezza Europa la gente scende in piazza per smuovere il sistema e riprendersi una vita più dignitosa, in Italia scendiamo in piazza per il flash mob del Gum Gum Style. Invece di puntare il dito contro i cinesi, impariamo a dire "mea culpa", battiamoci forte sul petto e giù le ginocchia sui ceci (raccolti da chi...?).


P.s.: Sia ben chiaro. A me non interessa affatto se chi sta dietro al bancone è italiano, cinese o marziano. In un vero mercato libero mi sta benissimo tutto (a patto che si giochi legamente però). Con questo post punto il dito contro gli italiani che si lamentano per i motivi sbagliati e che comunque non fanno niente di concreto e di costruttivo per cambiare le cose.